IL RITORNO IN PATRIA DEL PAPA IN OCCASIONE DELLA XX GIORNATA
MONDIALE DELLA GIOVENTÙ A COLONIA
Gioia, emozione, soddisfazione: sono i sentimenti che hanno accompagnato Benedetto XVI in
questo primo viaggio a Colonia, sua terra natale, tra i giovani di tutto il mondo per
la XX Giornata mondiale della gioventù.
Il 18 agosto 2005, in piena continuità con papa
Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ha chiamato i ragazzi a un'occasione concreta per vivere la
fede. È nell’ottica, tutta pastorale, della "chiamata alla santità" che
Benedetto XVI ha voluto convocare nella terra che riporta
alla mente la figura di Lutero i "giovani del terzo millennio", come il
Pontefice stesso li ha definiti nell’Angelus di domenica 7 agosto.
In un certo senso, il suo appello delinea una
ricentratura dell’obiettivo di questo annuale incontro: più che un festoso
happening, come talvolta era apparso agli osservatori esterni,
un’opportunità concreta per vivere e per testimoniare la fede cristiana.
A conferma di ciò, c’è l’inedita decisione di papa Ratzinger di associare
il dono dell’indulgenza alla celebrazione della GMG: in precedenza questo
era avvenuto soltanto nel 2000, ma unicamente in quanto la Giornata di Roma
era inserita nel calendario del Grande Giubileo.
Il 19 mattina ha incontrato il presidente tedesco Köhler, nella residenza Villa
Hammerschmidt di Bonn, poi ha visitato la sinagoga di Colonia, la sede più antica di una
comunità ebraica in Germania e luogo carico di memorie
dolorose per il popolo ebreo. Benedetto XVI ha espresso preoccupazione e raccomandato
"vigilanza" di fronte a nuovi segni di antisemitismo e
"forme di ostilità" verso gli stranieri. Ha poi invitato ebrei e cattolici a una maggiore
conoscenza, senza sottacere e minimizzare le differenze, per guardare insieme ai compiti di
oggi e di domani. Un discorso del Papa denso di riferimenti storici, nel segno dei rinnovati
rapporti di amicizia e dialogo tra cattolici ed ebrei, e l’impegno a procedere su questa strada
perché resta "ancora molto da fare".
LE PRIME CANONIZZAZIONI DI BENEDETTO XVI
Attesa ed emozione per la proclamazione il 23 ottobre 2005 dei primi santi del pontificato di
Benedetto XVI. Con tanti "motivi di ringraziamento e di supplica a Dio", il Papa
nella sua omelia ha invitato "a contemplare l’Eucaristia come fonte di santità e nutrimento
spirituale per la nostra missione nel mondo", "dono e mistero" dove si manifesta "la pienezza
dell’amore di Dio" e si "riassume tutta la legge divina".
"Cristo ci consegna in se stesso la piena realizzazione dell’amore per Dio e dell’amore per i
fratelli. E questo suo amore Egli ci comunica quando ci nutriamo del suo Corpo e del suo
Sangue".
Si realizza così quella conversione – ha spiegato Benedetto XVI – "principio del cammino di
santità che il cristiano è chiamato a realizzare nella propria esistenza".
"Quanto provvidenziale, in questa prospettiva, è il fatto che oggi la Chiesa additi a tutti i
suoi membri cinque nuovi Santi che, nutriti di Cristo Pane vivo, si sono convertiti all’amore e
ad esso hanno improntato l’intera loro esistenza!"
Józef Bilczewski, l’arcivescovo polacco di Leopoli dei Latini, nato nel 1860, amato
e apprezzato da cattolici, ortodossi ed ebrei per i quali si adoperò durante la prima guerra
mondiale, sempre dalla parte del popolo e dei poveri, sensibile verso famiglie e giovani,
insegnava che il fondamento della vita sociale deve essere la giustizia, perfezionata
nell’amore cristiano.
"Fu uomo di preghiera…- ha sottolineato il Santo Padre - un esempio per i sacerdoti e un
testimone per tutti i fedeli".
Zygmunt Gorazdowski, sacerdote polacco, nato nel 1845, chiamato ‘Padre dei
poveri’, animatore instancabile di opere di misericordia, che affidò alla cure della
Congregazione delle Suore di San Giuseppe da lui fondata.
"...si è sempre lasciato guidare – ha osservato il Papa - dallo spirito di comunione, che
pienamente si rivela nell’Eucaristia".
Alberto Hurtado Cruchaga, sacerdote gesuita cileno, nato nel 1901, una vita coraggiosa
ispirata dall’amore del Signore, presente nell’Eucarestia e dall’amore per i poveri, fondatore
del "Focolare di Cristo" per i più bisognosi e i senza tetto. Morto a 51 anni.
"Tra acuti dolori alla fine dei suoi giorni – ha ricordato Benedetto XVI – teneva la forza di
ripetere 'Sono contento Signore, contento', esprimendo così l’allegria che sempre lo
accompagnò".
Gaetano Catanoso, sacerdote italiano, nato nel 1879, fondatore della Congregazione delle Suore
Veroniche del Volto Santo, in aiuto ai sacerdoti più bosognosi e alle parrocchie più sperdute e
abbandonate della sua terra, la Calabria.
"…Con ardente ed instancabile carità pastorale egli si dedicò alla predicazione, alla
catechesi, al ministero delle Confessioni, ai poveri, ai malati, alla cura delle vocazioni
sacerdotali".
Felice da Nicosia, umile frate cappuccino, nato nel 1715, analfabeta, assetato della Sacra
Scrittura, che apprendeva a memoria, per tutta la vita questuante del suo Convento in
Sicilia.
"Fra Felice ci aiuta a scoprire il valore delle piccole cose che impreziosiscono la vita, e ci
insegna a cogliere il senso della famiglia e del servizio ai fratelli, mostrandoci che la gioia
vera e duratura, alla quale anela il cuore di ogni essere umano, è frutto dell’amore."
L'ENCICLICA "DEUS CARITAS EST"
"Dio è Amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in Lui". Con queste parole, tratte
dalla Lettera di San Giovanni, inizia la prima enciclica di Benedetto XVI
Deus Caritas est,
pubblicata il 25 gennaio 2006 e firmata nella solennità del Natale, il 25 dicembre 2005.
Scopo della prima enciclica di Benedetto XVI è mostrare all’umanità la
novità sconvolgente dell’amore di Dio, la sua passione per l’uomo, "centro della fede
cristiana". Dio "ama personalmente" la sua creatura – scrive il Papa: "si commuove … freme di
compassione", è amore che non abbandona mai anche quando è tradito, "è amore che perdona" ed "è
talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la giustizia". È "il
mistero della Croce: Dio ama tanto l’uomo che facendosi uomo Egli stesso lo segue fin nella
morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore". Noi abbiamo creduto "all’amore
appassionato di Dio" – scrive il Papa. E questo vuol dire che "all’inizio dell’essere
cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento,
con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva".
"La fede non è una teoria che si può far propria o anche accantonare. È una cosa molto
concreta: è il criterio che decide del nostro stile di vita. In un'epoca nella quale l'ostilità
e l'avidità sono diventate superpotenze, un'epoca nella quale assistiamo all'abuso della
religione fino all'apoteosi dell'odio, la sola razionalità neutra non è in grado di
proteggerci. Abbiamo bisogno del Dio vivente, che ci ha amati fino alla morte".
Dunque al centro c’è l’amore, parola spesso abusata – nota il Pontefice – che fa la distinzione
tra eros, amore "mondano", fondamentalmente amore fra l’uomo e la donna, e agape, amore fondato
sulla fede. Ma l’agape non è contro l’eros – sottolinea il Papa – non è contro la corporeità:
anzi queste due dimensioni vanno armonizzate.
"Volevo mostrare l'umanità della fede, di cui fa parte l'eros – il ‘sì’ dell'uomo alla sua
corporeità creata da Dio, un ‘sì’ che nel matrimonio indissolubile tra uomo e donna trova la
sua forma radicata nella creazione. E lì avviene anche che l'eros si trasforma in agape – che
l'amore per l'altro non cerca più se stesso, ma diventa preoccupazione per l'altro,
disposizione al sacrificio per lui e apertura anche al dono di una nuova vita umana".
D’altra parte l’uomo "non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere": deve attingere
"sempre di nuovo" a quella sorgente da cui sgorgano fiumi di acqua viva, cioè "Gesù Cristo,
dal cui cuore trafitto scaturisce l’amore di Dio". "La vera novità del Nuovo Testamento –
scrive Benedetto XVI – non sta in nuove idee ma nella figura stessa di Cristo che dà carne e
sangue ai concetti – un realismo inaudito". "In Gesù Cristo, Dio stesso insegue la pecorella
smarrita, l’umanità sofferente e perduta". E nell’Eucaristia siamo attirati nell’amore di
Gesù che diventa amore per il prossimo. "L’unione con Cristo infatti è allo stesso tempo unione
con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me – afferma
il Pontefice – posso appartenergli solo in unione con tutti quelli che sono diventati o
diventeranno suoi". "Così chiunque ha bisogno di me e io posso aiutarlo quello è il mio
prossimo". E il giudizio finale – ricorda il Papa – verterà proprio sull’amore: Gesù si
identifica con gli affamati, gli assetati, i forestieri, i nudi, i malati, i carcerati. In
questi piccoli "incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio".
Ma il comandamento dell’amore – prosegue il Papa – riguarda non solo i singoli cristiani ma
anche i cristiani come comunità: cioè la carità è parte integrante della missione della
Chiesa, così come la celebrazione dei Sacramenti e l’annuncio della Parola. La Chiesa volge
così il suo amore in modo concreto verso tutti gli uomini che sono sofferenti e nel bisogno.
Un’azione umanitaria che non va confusa con una pura forma di assistenza sociale e che deve
essere "indipendente da partiti e ideologie".
L’attività caritativa deve essere spinta dall’amore di Cristo e va nutrita con la preghiera
costante in un contatto vivo con Dio: "E’ venuto il momento – scrive il Papa – di riaffermare
l’importanza della preghiera di fronte all’attivismo e all’incombente secolarismo di molti
cristiani impegnati nel lavoro caritativo".
L’Enciclica si conclude con una invocazione alla Vergine Maria, modello di "quell’amore puro
che non cerca se stesso ma semplicemente vuole il bene" secondo i pensieri di Dio. "A Lei – ha
detto il Papa – affidiamo la Chiesa, la sua missione a servizio dell’amore". A lei chiediamo di
insegnarci a conoscere e ad amare Gesù perché possiamo "diventare capaci di vero amore ed
essere sorgenti di acqua viva in mezzo a un mondo assetato".